Recensione al film “La grande bellezza”

Gep Gambardella, giornalista e vecchio scrittore di successo, consuma la suegiornate tra l’organizzazioni di feste, interviste di cui per lo più si disinteressa e incontri bislacchi. Tutto lo lascia generalmente indifferente sino a che la morte si affaccia, come uno spettro improvviso, tra i suoi giornia ricordare l’ineluttabilità di un tempo perduto e dissipato nella noia e nel vuoto. Intorno ad un Servillo in gran spolvero, un’umanità variegata e stordita di personaggi, felliniani e circensi, che sono la caricatura grottesca di una classe dirigente e intellettuale, vacua e decadente, che ormai non ha più nulla da dire. Inutile dire che il film ha diviso critica e pubblico, che ha contestato al regista una regia troppo ambiziosa e barocca e una certa fissità nella scrittura, che avrebbe limitato l’azione e il ruolo di molti personaggi,riducendoli a dei semplici burattini nelle mani del regista. L’uso del monologo e la ricercatezza estetica sono tuttavia da sempre segni distintivi della regia di Sorrentino che adesso vola alto citando Fellini per specchiare nelle terrazze romane una società disgregata, amorfa, intimamente corrotta e soprattutto disincantata e rassegnata, come il suo protagonista. Splendida la fotografia che coglie una Roma pigra e bellissima,ottimi i cammei di Sabrina Ferilli e Carlo Verdone che trova finalmente una vena drammatica da tempo annunciata ma mai compiuta nella sua filmografia. Convincono decisamente meno invece certe forzature simboliche o certi personaggi, quali la Santa,che niente tolgono o aggiungono al film, appesantendolo invece inutilmente.

Marco Ferrucci